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Le vie del Futsal sono infinite

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​A volte il futsal segue vie un po' strane. Per certi versi questa è stata la stagione più difficile della mia carriera. Più dura persino di quella precedente. Oltre nove mesi di lavoro sul campo; nel mezzo due pause di oltre un mese senza partite ufficiali, fasi che nascondono le maggiori insidie per un allenatore. Le pause così lunghe, nel bel mezzo del campionato, rappresentano una sorta di filetto alla Wellington per uno chef: le difficoltà maggiori nella sua preparazione riguardano la cottura della carne e i succhi al suo interno che, una volta in forno, non devono essere rilasciati bagnando inevitabilmente la sfoglia. Le pause sono così. Sai come lasci il gruppo, non sai come lo ritrovi. Per quanto bene si possa lavorare, non sai mai cosa accade "nel forno". Ci sono stati momenti in cui ho avuto la sensazione che la mia squadra potesse implodere da un momento all'altro, ma allo stesso tempo ho sempre avuto la sensazione che questa squadra fosse destinata alla grandezza, qualora avesse voluto davvero raggiungerla. Nel momento più duro a livello di risultati, tanti allenatori al posto mio si sarebbero dimessi, altri avrebbero iniziato ad addossare le colpe a qualcun altro. Io ho fatto una cosa molto semplice: ho iniziato una serie continua di colloqui privati con i giocatori, ho rafforzato lo Staff Tecnico ed ho inserito un allenamento in più. Mi hanno detto che "il lavoro paga sempre" ed io ci ho creduto: ho rilanciato invece di passare la mano. E poi, intorno a noi, avevamo creato qualcosa che il denaro o il futsalmercato non possono darti: il calore della gente. Non ricordo mai un allenamento senza tifosi e/o spettatori. Una stagione degna di un romanzo giallo di Agatha Christie. Una sequenza di situazioni ed emozioni che si sono susseguite fino all'inverosimile. Quando tutto sembrava ormai finito: la ripresa, una striscia incredibile, la rincorsa, l'aggancio, il sorpasso, il controsorpasso, gli spareggi, il dramma con l'autogol a trenta secondi dal termine, la fine annunciata, la resurrezione e il trionfo. 
Credo che, per una strana legge non scritta, una delle cose che mi ha stimolato di più in quest'ultimo mese mi è stata donata dai nostri stessi avversari. Senza grandi motivazioni, prima della gara contro l'Olympique Ostuni i nostri avversari sulla loro pagina Facebook hanno pubblicato una foto della loro tribuna con la frase "ma che ne sanno in Basilicata". Quest'incredibile autogol mediatico dei nostri avversari (scherzo del destino usare questo termine), se possibile, mi ha dato maggiore voglia, ancora più forza. Come accennato sopra, la partita di Ostuni è stato lo specchio della stagione: brutta partenza, ma squadra che gioca bene, che va sopra l'avversario, che arriva ad un centimetro da una grande impresa e poi con una spallata decisiva della sfortuna la debacle. Lì, dopo la sconfitta, mi sono ricordato di quella foto e rimproveravo me stesso per non aver "fatto giustizia" verso la mia terra, offesa. Poi un'altra foto, come stimolo estrinseco, che posterò alla fine di questo scritto. I nostri tifosi che si disperano, con tanto di mani nei capelli, sull'autogol sopracitato. Foto con tanto di commento ironico di un avversario. La mia vita sportiva mi ha insegnato a non rispondere mai alle provocazioni. A non farlo mai nella stessa forma di chi mi ha appena offeso. Ma l'ennesima provocazione è diventata forza, l'ennesima beffa l'ho trasformata in determinazione. Ho preparato al meglio la gara successiva ed ho parlato ai miei giocatori negli spogliatoi come se quello potesse essere il mio ultimo discorso a loro. Sapevo che le loro anime, allenate con amore in questi due anni, avrebbero risposto come desideravo. Il resto è storia e... le vie delle rivincite, degli autogol (in campo e mediatici fuori dal campo), de "il lavoro paga" e, soprattutto,  del 
futsal, si sono rivelate infinite. Come la mia passione.

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