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La felicità di un allenatore

Molti allenatori concepiscono la felicità come una sensazione di benessere che si prova quando si ottengono dei risultati: la vittoria di una partita, di una coppa o di un campionato. Ma tutti noi abbiamo spesso constatato che quando raggiungiamo gli obiettivi di questo tipo sentiamo poi che quella che percepivamo come una solida felicità finisce poi per dissolversi rapidamente. Cerchiamo allora di riconquistarla con il raggiungimento di nuovi traguardi. Come se la felicità risiedesse sempre nel domani. E così finiamo per non goderci la vera gioia del nostro ruolo. Sempre logorati dall'infima filosofia del risultato. Per un allenatore la vera felicità dovrebbe essere la possibilità di vivere la squadra, plasmare il gruppo con le proprie idee. Sedurlo, farlo proprio. Creare empatia con i giocatori e con l'ambiente. Portare un gruppo di persone che in comune ha solo una spogliatoio ed una divisa a farlo diventare una squadra. Un gruppo in cui ogni componente lotta per l'altro, fino a far scomparire le individualità e a diventare una cosa sola, fino a farli sentire di far parte di qualcosa più grande di loro stessi.
La felicità di un allenatore non coincide con il raggiungimento di obiettivi. La felicità non deve essere qualcosa che ci accadrà nel futuro, quando un giorno si verificheranno certe condizioni e realizzeremo qualche nuovo obiettivo. La felicità di un allenatore deve prescindere dagli obiettivi, non deve essere legata solo ai risultati. Un allenatore dev'essere felice ogni giorno che allena. Ogni giorno che vive la propria leggenda personale dando vita a quella "luce" che risiede in ognuno di noi.
Il giorno prima di una grande finale è esso stesso il giorno più bello di un allenatore. Non il giorno dopo.

In ogni caso, per non sbagliare, un buon allenatore che si rispetti, cercherà di far in modo che lo siano entrambi.

“Se vuoi essere felice, comincia ad essere felice” 
​Lev Tolstoj
Immagine

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