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Come se fosse la prima voltaEccoci qui, finalmente. Nella testa di un allenatore questo è il momento che aspetta da mesi. Lunghi, interminabili, mesi. Così come si attende di intraprendere un lungo e bellissimo viaggio. Ecco, proprio di questo vorrei parlarvi. Una stagione sportiva, per un allenatore, così come per tutte le componenti di una squadra, è come affrontare un lungo viaggio assieme. Partire da un punto X ed arrivare a un punto Y. Come quasi tutti i viaggi, sia che si tratti di viaggi reali o di viaggi metaforici, ognuno di noi non tornerà mai più come prima. Perché, come scrisse Andrej Arsen'vico Tarkovskij "L'uomo non può tornare mai allo stesso punto da cui è partito, perché, nel frattempo, lui stesso è cambiato”.
L'idea di iniziare una nuova avventura assieme è sempre eccitante, così come lo è un qualsiasi percorso assieme. Un allenatore, nei mesi che precedono quel momento, vive l'intero periodo estivo con una sola cosa in mente. Certo, di tanto in tanto, cerca di fingere di interessarsi del mare, delle vacanze, del lavoro, delle feste, degli amici e della propria famiglia. Ma, con la testa, inutile negarlo, è già lì. Come se fosse la prima volta. Non importa se, come nel mio caso, si tratti della dodicesima volta da allenatore. Ogni volta è come se fosse la prima. Nel cuore, il dispiacere per gli atleti che non allenerà più unito all'emozione di avere nuove persone alla quale insegnare e affidare il proprio lavoro durante l'anno e ritrovare i compagni/allievi di mille battaglie. La voglia che ha un bambino di scartare il proprio regalo e vedere se dentro il pacco c'è quello che ha sempre sognato. Ma più di tutto, anche più delle sensazioni positive e negative che possono arrivare dai propri giocatori o tifosi, l'allenatore vive "l'idea dell'inizio" con un solo ed unico desiderio: plasmare il gruppo con le proprie idee. Sedurlo, farlo proprio. Creare empatia con i giocatori e con l'ambiente. Vivere le gioie e le delusioni tutti assieme. Portare un gruppo di persone che in comune ha solo una spogliatoio ed una divisa a farlo diventare una squadra. Un gruppo in cui ogni componente lotta per l'altro, fino a far scomparire le individualità e a diventare una cosa sola, fino a farli sentire di far parte di qualcosa più grande di loro stessi. Che fanno qualcosa per un bene supremo, dimenticandosi completamente di loro stessi. Far si che, in campo, ci siano loro attraverso gli occhi dell'allenatore. Un pò come vive un padre la vita di un figlio. Affidare alle prestazioni dei giocatori tutto il proprio lavoro, i desideri e le proprie speranze. Sapendo, fin dal principio, che in caso di fallimento dovrà essere l'allenatore stesso a doverli risollevare. Ed è questo che rende magico il lavoro dell'allenatore: avere fede, totalmente ed inesplicabilmente, in altri esseri umani. Infine, per un tecnico, come obiettivo che prescinde dai risultati, c'è quello di forgiare il loro carattere, indurire il loro corpo e far sognare le loro anime. Tutte cose che si possono acquisire solo "viaggiando" assieme. Del resto, il "viaggio", nell'antichità, significava fatica, sacrificio, patimento, una serie di insidie e pericoli imposti da forze superiori grazie alle quali, però, l'uomo conquista la possibilità di estendere il proprio "io" oltre la morte, poiché le sofferenze originano l'eroe e rendono esemplari le sue azioni agli occhi della gente. Che questo viaggio, l'ennesimo, abbia inizio. Ma, pur sempre, come se fosse la prima volta. |
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