Geniale dal punto di vista tattico e adorato dai propri giocatori, Wooden ha radicalmente cambiato il modo di allenare diventando un vero punto di riferimento per tutti gli allenatori non solo di basket. E quando si parla di “successo”, riferito a Wooden, prima ancora delle sua famosissima "Piramide del successo", è impossibile non parlare della più incredibile serie di vittorie che lo sport americano ricordi: in un arco di 12 anni, la sua UCLA (University of California at Los Angeles) vinse 10 titoli universitari, 7 consecutivi, raccogliendo 335 successi su 357 partite disputate, di cui 88 in fila. Senza dimenticare i quattro campionati vinti con il perfetto record di 30-0. Nei 40 anni come capo-allenatore, di cui 27 ad UCLA, ha avuto tra i suoi giocatori Kareem Abdul Jabbar, Bill Walton, Jamaal Wilkes, Sidney Wicks, Henry Bibby e molti altri ancora. Proprio Kareem Abdul Jabbar, nel giorno della morte del suo adorato coach (all'età di 99 anni), disse: "Non è facile parlare di John Wooden, più che un allenatore è stato un genitore. Era una persona straordinaria, umile e altruista ma sapeva essere severo e ci ha insegnato la disciplina”.
Proprio J.W., raccontandosi in un'intervista, disse che "Stavo cercando una idea che facesse di me un insegnante migliore, e desse ai giovani sotto la mia guida, sia nello sport che nella scuola, qualcosa a cui aspirare, che non fosse solo un voto più alto in classe, o venti punti in una gara di basket. Ci ho pensato e lavorato per molto tempo, volevo trovare una definizione personale, perchè pensavo sarebbe stata d’aiuto. E non ero d’accordo con il dizionario che definisce il successo: '…l’accumulo di beni materiali o il raggiungimento di una posizione di potere o di prestigio', o qualcosa del genere. I risultati materiali e morali sono certamente degni di nota, ma a mio parere non sono necessariamente gli indici del successo." E' così che il coach arriva all'idea di creare una piramide del successo che si basi su concetti filosofici che possano essere indice di successo tanto nello sport quanto nella vita. Un ruolo predominante nella sua vita lo ebbè il padre, Joshua, che cerca d'insegnare al giovane John a non cercare mai di essere migliore di qualcun'altro. "Sono sicuro che quando mi diceva questo, io non capivo, ma il concetto rimase nascosto negli angoli più reconditi della mente, e saltò fuori anni dopo. Non cercare mai di essere migliore di qualcun altro, ma impara sempre dagli altri. Non smettere mai di cercare di essere e di fare il meglio che puoi... Da questo pensiero ti devi lasciare coinvolgere, senza preoccuparti troppo dei fatti sui quali non hai controllo, perché allora influenzerà in modo negativo anche le cose su cui hai pieno controllo." E' così che arriva alla sua idea di successo, "il successo è la pace dello spirito raggiunta grazie alla soddisfazione di sapere di esserti sforzato per dare il meglio di cui sei capace. E' vero! Quando ti sforzi di fare il meglio di cui sei capace, cercando di migliorare la situazione in cui ti trovi, quello è il successo, e non penso che alcuno lo possa contestare. La situazione è analoga quando si parla di carattere e reputazione. La tua reputazione è come tu vieni percepito; il tuo carattere è ciò che sei realmente." Ma se papà Joshua è una figura fondamentale nella vita e nella carriera del coach, ancora di più lo è Nell Riley, o meglio “la sua Nelly”. “L’unica donna che ho mai baciato”, ammetteva senza nessuna vergogna un Wooden già 90enne, in una commovente intervista di qualche anno fa. Fidanzati dai tempi della scuola, la sposò nel 1932. Con lei ha condiviso 53 anni di matrimonio, fino al 21 marzo 1985 quando un tumore la uccise. Da quel giorno, ogni 21 del mese, puntuale e costante John Wooden prendeva in mano carta e penna e le scriveva una bella lettera, una lettera d’amore, per continuare a vivere assieme, per continuare a sentirla vicina. Fanno 25 anni di lettere senza risposta. Perché è grazie a Nelly, prima ancora che grazie ai tanti campioni allenati (da Kareem Abdul-Jabbar a Bill Walton), che John Wooden ha potuto godersi quella che lui stesso ha definito “la vita più bella che potessi avere”. “Paura di morire? Macché! Perché dovrei avere paura di morire? Una volta, magari, ma ora non più. Ho avuto la vita più bella che potessi avere”. LA PIRAMIDE DEL SUCCESSO |